La trasformazione tecnologica è sempre una sfida per la cultura di una popolazione che deve adattarsi a mutamenti quotidiani nell’organizzazione della vita, del lavoro, della produzione, del consumo. E del resto, a sua volta è il cambiamento culturale, economico e sociale a rendere l’innovazione tecnologica necessaria e in qualche caso dirompente. In questa dinamica evolutiva, l’adattamento alla trasformazione di contesto e l’innovazione ulteriore sono fenomeni modellati dai sistemi formativi, che sono complessi insiemi di soluzioni per l’addestramento pratico, l’educazione specialistica e l’acculturazione per la socializzazione. Soluzioni che non sono soltanto formali, cioè sviluppate nei contesti dedicati alla formazione, ma che si offrono alla popolazione in molte altre occasioni informali, con effetti formativi che si dipanano tra pari, o grazie all’esperienza sul campo, o addirittura in una serie di momenti acculturanti che si incontrano nell’atto di lavorare, di consumare e di vivere con gli altri. Ogni cultura ha i suoi modi di interpretare tutto questo. Tipicamente, l’Italia trova soluzioni meno formali degli altri Paesi, tende a programmare meno, ha forme di reazione più veloci di quelle che si osservano in altri contesti e si trova in situazioni originali, difficilmente paragonabili a quelle altrui.
È chiaro che a giudicare dai numeri ufficiali, la situazione italiana è meno che ottimale. Le rilevazioni Desi, l’indice che misura la digitalizzazione dei Paesi europei, mostrano che l’Italia resta nelle ultime posizioni. Questo potrebbe indicare che gli italiani non avvertono il bisogno di una modernizzazione digitale: ma non è così, come mostra il boom di investimenti in questo senso che si è verificato nel periodo in cui il Governo ha portato avanti una policy di incentivazione all’insegna del piano “industria 4.0”.
Certo, l’Italia è sempre difficile da paragonare agli altri Paesi e soprattutto è complicata da comprendere nel suo insieme, perché le varie aree sono molto diverse tra loro, le generazioni si sono allontanate, le imprese che esportano si sono trasformate molto più velocemente di quelle che puntano tutto sul mercato nazionale. L’Emilia Romagna, per esempio, si dà soluzioni formative originali, come la nuova università per l’auto da corsa che è stata realizzata per accordo delle varie case automobilistiche della regione e delle quattro università. Inoltre, per esempio, a Parma, un gruppo di imprenditori si sta dando da fare per alimentare la voglia di frequentare corsi tecnici da parte dei giovani delle secondarie.
Ma non è tutto qui. Perché se l’Italia ha quasi sempre trovato soluzioni “creative” ai suoi fabbisogni, oggi ha bisogno di un pensiero sempre più sofisticato sul piano dell’educazione. Il lavoro del futuro richiede capacità specialistiche di primo piano e contemporaneamente propensioni umanistiche spiccate per il lavoro di squadra interdisciplinare che la tecnologia attuale richiede; per lo spirito strategico che l’organizzazione delle imprese moderne abilita e domanda; per la curiosità resa necessaria dalla continua evoluzione delle tecnologie che sfidano ciascuno a prevenire la propria capacità a rimuovere.