È il primo dicembre del 1970. “L’Italia è un Paese moderno”, titolano i giornali in caratteri cubitali. E ancora: “Ha vinto la libertà”, e poi “Vittoriosa conclusione di una giusta battaglia”. O, più semplicemente: “Il divorzio è legge”. Perché si tratta del giorno in cui, nonostante l’opposizione della Chiesa e della Democrazia Cristiana, viene introdotta in Italia con il numero 898/1970 la “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, la legge sul divorzio. Al traguardo si è arrivati grazie al lavoro dei deputati Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale), che hanno intercettato i bisogni della società italiana.
Dai titoloni si capisce che siamo di fronte a un evento epocale: l’Italia è il Paese che ospita il Papa, e per la Chiesa il matrimonio è un “vincolo indissolubile tra marito e moglie”. E infatti appena quattro anni dopo le forze cattoliche promuovono un referendum per la repentina abrogazione della legge.
I tempi, però, sono ormai maturi per rendere scindibile il vincolo matrimoniale e per questo, alle urne del 1974, il 59,26% degli italiani dice no, promuovendo definitivamente il nuovo istituto giuridico. La legge 898 consente a marito e moglie di dirsi addio: per decisione reciproca, su richiesta di uno dei coniugi, e in casi particolari, come per esempio la condanna penale di uno dei partner, anche per reati gravi.
I deputati Fortuna e Baslini festeggiano l’approvazione della legge sul divorzio, la n. 898 – “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini). Dunque, prima del 1970, in Italia gli sposi che non andavano d’accordo dovevano fare buon viso a cattivo gioco e resistere cristianamente. La condanna della Chiesa risaliva addirittura al 1208, anno in cui Papa Innocenzo III definì il matrimonio un “sacramento” a tutti gli effetti e fu poi ribadita anche nel 1545 dal Concilio di Trento, che nel decreto finale, tra le altre cose, recita: “Sia anatema chi dice che il matrimonio si può sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge”.
L’unica possibile scappatoia era quindi ricorrere (a pagamento) al tribunale della Sacra Rota, istituto creato con bolla papale nel 1331, e attraverso il quale il tribunale ecclesiastico può redigere una Dichiarazione di nullità del sacramento del matrimonio se l’unione è stata imposta o se uno dei coniugi è infedele o incapace di adempiere agli obblighi coniugali (ossia generare, fare un figlio). In seguito, tra le cause che possono portare all’annullamento del matrimonio religioso, è stato introdotto il “mammismo”, termine coniato dalla Sacra Rota per definire il coniuge che non riesce a staccarsi dai genitori.