Ambiente

La terra del pianeta è tutta in poche mani

Le ricchezze del mondo si accumulano sempre di più in poche mani e la terra coltivabile non fa eccezione. Un nuovo studio ha accertato che l’1% delle aziende agricole controlla il 70% dei terreni fertili, sistematicamente sottratti ai piccoli proprietari. Le monoculture stanno sostituendo la varietà di specie vegetali prima garantita dalla frammentazione delle proprietà, e i fondi di investimento hanno trovato un nuovo modo di guadagnare soldi speculando sulla produzione di cibo. 

Lo studio, che ha costretto a rivedere molti dati più ottimistici diffusi negli anni scorsi, è stato condotto dall’International Land Coalition, da Oxfam e da Inequality Lab prendendo in considerazione nuovi parametri, come la proprietà multipla, la qualità e il valore dei terreni e il numero di persone lasciate senza terra. Nel mondo, circa l’85% delle aziende agricole appartiene alla proprietà familiare o viene gestito da piccoli agricoltori. Ma queste aziende, pur numerose, rappresentano solo una piccolissima parte della terra coltivabile e della produzione commerciale di alimenti vegetali. 

Il fenomeno è stato guidato da strumenti finanziari a breve termine: “In passato – ha detto Ward Anseeuw, analista dell’International Land Coalition – questi strumenti interessavano solo i mercati. Non ci toccavano individualmente. Ma ora riguardano ogni aspetto della nostra vita perché sono collegati alla crisi ambientale e alla pandemia. Questi accordi finanziari si stanno ora diffondendo nel mondo in via di sviluppo, dove sta accelerando il declino della qualità del suolo, l’uso eccessivo delle risorse idriche e il ritmo della deforestazione”. Secondo Anseeuw “la concentrazione della proprietà e del controllo si traduce in una maggiore spinta verso le monocolture e un’agricoltura più intensiva poiché i fondi di investimento tendono a lavorare su cicli di 10 anni per generare rendimenti”. 

L’indagine ha permesso di accertare che la mancanza di terra per gli abitanti è più bassa in Cina e Vietnam, e più alta in America Latina, dove il 50% più povero delle persone possiede solo l’1% dei campi coltivabili. La Cina, d’altra parte, è una delle protagoniste del land grabbing, l’acquisizione di terra in altri Paesi, soprattutto nell’Africa subsahariana, ottenuta in cambio di prestiti per realizzare infrastrutture o con affitti a lungo termine. Secondo la World Bank, che nel 2010 ha stilato uno dei pochi rapporti disponibili sul fenomeno, già 46 milioni di ettari di terra africana sono controllati da Paesi stranieri, oltre che dalla Cina anche da Stati Uniti, Emirati Arabi e Gran Bretagna. 

Gli ambientalisti e le associazioni no-profit come Grain, che proteggono i piccoli agricoltori, sono preoccupati: concentrare la produzione di cibo in poche mani migliorerà le tecniche di coltivazione e il rendimento per ettaro di terreno, ma il mercato non proteggerà il cibo che mangeremo, né i campi sui quali sarà coltivato. I piccoli agricoltori e le popolazioni indigene trattano la terra con maggiore rispetto e sono più cauti nello sfruttarla. Si perderanno cultura, varietà e identità e si distruggerà di più.

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