A volte ritornano. Non stiamo parlando del teppistello assetato di vendetta che fa dietrofront dall’aldilà, come nel racconto eponimo di Stephen King: si tratta invece di un grande poeta che merita a pieno titolo una rivalsa.
Torna Salvatore Quasimodo (Modica, 1901 – Napoli, 1968), premio Nobel per la letteratura nel 1959: autore di numerose raccolte di versi e di finissime traduzioni di testi classici dal greco e dal latino (ma non solo), godette fino a un certo punto della sua vita di una discreta fortuna critica, in assetto trinitario, comparendo cioè nei testi scolastici e nelle antologie à la page accanto a Montale e Ungaretti. Tutti e tre accomunati, consapevolmente o meno, soprattutto dalla matrice simbolista.
Lo schema ternario in letteratura di solito è durevole, ma può subire oscillazioni: a un certo momento, orientativamente intorno alla fine degli anni Sessanta, il poeta isolano venne rimosso a favore di Umberto Saba, retrocedendo quindi di parecchio nel pantheon novecentesco. E tramutandosi da autore canonico in autore rivale, antagonista, in lotta per un’imperativa riaffermazione.
Oggi Quasimodo si presenta con un’edizione delle sue opere poetiche che, per compattezza e per cura filologica, appare già definitiva. Si intitola appunto Tutte le poesie (Oscar Mondadori, 602 pagine, 26 euro, introduzione di Gilberto Finzi) e mostra un’interessantissima e densa appendice di versi dei quali s’era persa traccia o non erano stati ripubblicati dall’autore, e di inediti giovanili, accompagnati da illuminanti apparati di commento che si devono al curatore Carlangelo Mauro (votato da anni alla causa quasimodiana) e preceduti da un articolato e informatissimo profilo biografico. Nel testo viene smascherata definitivamente la tendenza di Quasimodo a idealizzare alcuni tratti della sua biografia, a partire dalla millantata nascita a Siracusa, fino alla fittizia iscrizione al corso di Ingegneria. Ma ci sono, inoltre, tanti aneddoti sui mestieri svolti dal poeta per campare: fu impiegato presso la Rinascente di Roma, geometra straordinario presso il Ministero dei Lavori Pubblici (lavorò a Reggio Calabria, Imperia, Liguria, Ventimiglia, Udine, Sardegna, Sondrio: al suo esilio da ulisside corrispose davvero uno sfiancante dispatrio), Segretario del Direttore dell’Anonima Periodici Italiani, che era Cesare Zavattini, poi docente di Letteratura italiana per “chiara fama” presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Turbolenta la sua vita sentimentale: tra le sue donne Bice Donetti, Amelia Spazialetti, Sibilla Aleramo, Maria Cumani e Curzia Ferrari.